Un attimo prima di cadere nella trappola De André, che il cantautorato lo spedisce in un buco nero da cui pochi possono permettersi di uscire, semmai guardando alla visione languida dei Faust'O e alla poesia cerebrale di Mario Castelnuovo, c'e questo omonimo ep del veneto Rodolfo Toé, febbricola contemporanea sedata a forza di nostalgie sfrigolanti seventies, vaghezza lo-fi e vampe noise-psych che diresti tra Eno e Canali. Costantemente aggrappato ad una tensione che non lascia posto ad ironia di sorta nel flusso ossessivo dei correlativi emotivi, cantati talvolta in punta d'esasperazione Vasco Brondi talaltra rammentando il lirismo acidulo del dimenticato Erz. (SentireAscoltare)
Prega di non essere preso troppo sul serio il ventiseienne Rodolfo Toè, cantautore della Sinistra Piave, compositore ed esecutore di ‘se stesso’. E noi lo accontenteremo nei possibili limiti giacché difficile pare non ascoltare con serietà il suo mini-album “orgogliosamente autarchico nella produzione e nella registrazione”. Controverso, spinto, indifferente, ma autenticamente delicato nella ruvidità dell’intento artistico. Sussurra tra leggiadrie folk e urla acutamente tra durezze elettriche, interessante no? Interessante la precisione testuale scontrantesi con disturbanti imprecisioni d’esecuzione nel brano d’incipit: il flebile “Avevo” striscia tra sognanti tonalità ardenti e corde serpeggianti che si elettricizzano in attimi meno sospiranti. Il risultato oppugnante cede il miseo passo alla “Canzone Misogina Numero Uno (Silvia)”, pulita, essenziale, avvolta di poeticità soffice accompagnata da sottil dileggio, alquanto acuto. Fermo restando la possibile ricusazione del confronto, la mixture ‘silviana’ ripropone quella capacità di fondere ossimori concettuali senza disturbi estremi, tipici di De André. Per citarne altri come non evidenziare l’ottimo arrangiamento di Bastian Contrario in “Abitudini”: qui l’acustica si fonde ben bene con tensione elettrica e si getta in un ritornello liberatorio ‘a la Fabrizio Moro’ a 2/3 del brano per continuare con solitarie note. Cantautorato all’avanguardia. Ma il vero melodramma della canzone popolare e genio poetico si palesa in “Figuranti”: teatralità woodyalliana, naturalezza, plasticità sprofondano a metà opera in un refrain ancor più logorante: “Io sono un figurante, farebbe differenza se qui al mio posto ci fosse un altro,notereste la mia assenza?”. Tutto contornato da assoli discrepanti tra viluppi di toni caldi e strilli acutamente aridi in vuoti anfiteatri immersi in foreste dimenticate. Si continua con “Ottobre” che delicatamente ricorda la solitaria ars poetica cantata dei cracoviani Stare Dobre Małżeństwo (SDM). Si ultima con“Canzone Misogina Numero Tre (Trieste)” che stupisce non positivamente tra ridondanze retoriche vascorossiane ma si fa perdonare con improvvisa cesura celtik -punk proprio lì dove tutto pareva esser finito. Oserò senza paura a definirlo il “piccolo Brassens del Piave” che deve continuare con la sua immensa scelleratezza avanguardistico-sottil-arguta a concederci micro doni per macrobrividi. (ExtraMusicMagazine)
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